Il risarcimento del danno da discriminazione e da demansionamento


(Da Rivista Labor – 13 Gennaio 2022)

Vengono in rilievo due recenti pronunce di merito della sezione lavoro del Tribunale di Napoli e della Corte d’Appello di Catanzaro, che introducono nuovi criteri di liquidazione del danno rispettivamente in materia di discriminazione e di dequalificazione professionale. Più precisamente la sentenza del Tribunale di Napoli, sez. lavoro, 26 novembre 2021, n. 5192, est. Bottino, nel procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale da discriminazione si colloca nel filone giurisprudenziale che, sulla scorta di un’interpretazione comunitariamente conforme, assegna al rimedio risarcitorio una funzione preventiva, ovverosia “deterrente-dissuasiva” (ex plurimis, nella giurisprudenza comunitaria, CGUE, sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson, paragrafo 23; conf.  CGUE, sentenza 22 aprile 1997, Urania; CGUE, sentenza 6 febbraio 2007, causa 54/07, Centrum; CGUE, sentenza 25 aprile 2013, causa 81/12 Asociatia Accept; CGUE, 23 aprile 2020, causa 507/18, secondo cui «tali sanzioni devono, a norma dell’articolo 17 della direttiva 2000/78, essere effettive, proporzionate e dissuasive anche quando non vi sia alcuna persona lesa identificabile»; nella giurisprudenza di legittimità, Cass. civ., sez. lav., 2 novembre 2021, n. 31071; Cass. civ., sez. unite, 21 luglio 2021, n. 20819, in cui si nega la natura punitiva dell’art. 28 comma 5 d.lgs. 150/2011, ribadendosi al contrario la funzione deterrente-dissuasiva, funzionale a garantire l’effettività delle misure antidiscriminatorie, par. 10.3; Cass. civ., sez. I. ord., 15 dicembre 2020, n. 28646, par. 7.6; nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze, sez. lav., 22.10.2019, est. Consani, in cui si parla di funzione del risarcimento dissuasiva e latamente sanzionatoria; Trib. Ferrara, sez. lav., 31 marzo 2021, est. Bighetti; Trib. Bergamo, sez. lav., 30 marzo 2018, est. Bertoncini; Trib. Bologna, sez. lav., 31 dicembre 2020, est. Zompì; Tribunale Bergamo, sez. lav., 8 agosto 2014, est. Bertoncini; Tribunale Ascoli Piceno, sez. lav., 25 marzo 2016, n. 22; Tribunale di Firenze, sez. lav., 20 aprile 2016, est. Papait; Trib. Firenze, sez. lav., 9 novembre 2015, est. Santoni Rugiu;  Trib. Pistoia, sez. lav., 12.07.2012, est. Tarquini).

L’originalità della pronuncia si rinviene nel fatto che, a differenza delle numerose decisioni di merito dominate da una certa discrezionalità nella determinazione in via equitativa del compendio risarcitorio, ancorato di volta in volta alle circostanze più disparate, nel caso in esame invece il giudicante ha ritenuto di dover utilizzare un parametro oggettivo legislativamente predeterminato, applicando in via analogica i criteri di quantificazione della sanzione amministrativa previsti dall’art. 11, L. 689/1981, relativi alla “gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

Sebbene non priva di torsioni “sanzionatorie-punitive”, la scelta in oggetto si fa apprezzare per la netta affermazione della “natura non esclusivamente ripristinatoria dello status quo ante attribuibile al risarcimento del danno da discriminazione”, la cui finalità deterrente “volta a evitare che il soggetto discriminante ponga in essere ulteriori comportamenti suscettibili di integrare un’oggettiva disparità di trattamento” si esplica nella corretta considerazione secondo cui la componente dissuasiva del rimedio risarcitorio, affinché non sia priva di effettività, deve essere “anche proporzionalmente commisurata…. alla personalità dell’agente, resosi autore della condotta discriminatoria (ad es., se la sanzione viene commisurata a 10.000,00 euro ed il soggetto discriminante ha un reddito annuale di 1.000.000,00 di euro, la misura della sanzione non sarà, del tutto ovviamente, connaturata da alcuna capacità dissuasiva, perché non risulta essere proporzionata; diversamente, dal caso in cui il soggetto discriminante abbia un reddito annuo di 100.000 euro)”.

La seconda pronuncia in esame della Corte d’Appello di Catanzarosezione lavoro, 16 settembre 2021, est. Murgida, riguarda un caso di dequalificazione in cui il danno alla professionalità è stato liquidato discostandosi dall’orientamento consolidato (la giurisprudenza dominante, infatti, è solita quantificarlo nella misura di una percentuale della retribuzione per ogni mese di permanenza della condotta dequalificante, oscillante in media dal 20% al 100%, avuto riguardo alla gravità della condotta dequalificante –maggiore nel caso di inattività lavorativa totale- ed alla sua durataex plurimis Trib. Milano, sez. lav., 26 aprile 2000, 100%; Trib. Milano, sez. lav., 4 maggio 2001, 72%; Cass. Sez. Lav., 23 ottobre 2001, n. 13033, 33%; Trib. Firenze, sez. lav., 2 febbraio 2004, 60%; Trib. Civitavecchia, sez. lav., 8 luglio 2004, 75%; Trib. Roma, sez. lav., 12 ottobre 2004, 80%; Trib. Palermo, sez. lav., 13 ottobre 2004, 50%; Cass. sez. Lav., 2 marzo 2005, n. 4370, 70%; Trib. Roma, sez. lav., 15 febbraio 2005, 100%; Trib. Bergamo, sez. lav., 20 giugno 2005, 80% (fattispecie di straining); Trib. Brescia, sez. lav., 15.04.2011, 100% (fattispecie di straining); Corte d’Appello di Roma, sez. lav., 20.04.2015, n. 2276, 50%; Corte d’Appello Venezia, sez. lav., 23.07.2016, n. 188, 35%; Tribunale Roma, Sez. lavoro, Sent., 09.06.2020, 50%; Trib. Milano, sez. lav., 21 luglio 2017, n. 2137, est. Florio, 20%; App. Milano, sez. lav., 19.11.2020, 20%; Trib. Vibo Valentia, sez. lav., est. Nasso, sent. 26.05.2021, n. 346, 50%).

In questo caso, invece, la Corte d’Appello di Catanzaro ha liquidato tale voce di danno (definita dal giudice di merito quale “compromissione dell’identità professionale”) utilizzando un differente parametro di riferimento, basato sull’importo previsto per il danno biologico da inabilità temporanea assoluta ex art. 139, c. 1, d.lgs. n. 209 del 2005, scorporando la componente già assorbita dal risarcimento da riconoscere a titolo di danno biologico permanente e tenendo conto della durata del periodo di demansionamento. Il collegio ha ritenuto di discostarsi dall’orientamento maggioritario in quanto il criterio di liquidazione parametrato su una percentuale della retribuzione mensile “presenta il duplice inconveniente: 1) di determinare un’ingiustificata disparità di trattamento, dal momento che porta ad un risarcimento differenziato in ragione della retribuzione; 2) di parametrare il danno alla retribuzione o ad una sua aliquota, in maniera del tutto arbitraria”.

Domenico Tambasco, avvocato in Milano